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Corona Immunitas, il 98% della popolazione ha anticorpi per il Covid

Servizio comunicazione istituzionale

Il progetto Corona Immunitas ha pubblicato i risultati del primo studio epidemiologico su larga scala realizzato dopo la diffusione della variante Omicron che, in Svizzera, ha soppiantato la Delta all‘inizio del 2022. I risultati mostrano una elevata presenza di anticorpi e livelli di neutralizzazione molto alti; confermano inoltre che l’immunità ibrida (prodotta dalla vaccinazione e da un’infezione) è la più efficace. Questo studio mostra inoltre la validità delle strategie di vaccinazione adottate da diversi Paesi che puntano soprattutto ai soggetti fragili.

Il progetto Corona Immunitas Ticino, condotto dall’Istituto di salute pubblica dell’Università della Svizzera italiana e dal Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della SUPSI, in collaborazione con l’EOC e numerosi partner sul territorio, fa parte del più ampio programma di ricerca Corona Immunitas promosso dalla Swiss School of Public Health (SSPH+) ed è stato avviato nel 2020 per valutare la diffusione del coronavirus SARS-CoV-2 e lo sviluppo dell’immunità nella popolazione. Lo studio, firmato tra gli altri dalla dottoressa Rebecca Amati, dall'assistente di ricerca Anna Maria Annoni e dal professor Emiliano Albanese della Facoltà di scienze biomediche dell’USI, è stato pubblicato sull’International Journal of Epidemiology e ha paragonato la presenza e i livelli di anticorpi nei cantoni Ticino e Zurigo a marzo e a giugno/luglio 2022, confrontando poi i risultati con i dati del canton Vaud.

Almeno il 51% dei partecipanti ha sviluppato un'immunità ibrida, come detto prodotta dalla combinazione di vaccino e infezione; tra questi più del 96% aveva anticorpi neutralizzanti contro il ceppo originario, definito ancestrale, e le varianti Delta e Omicron. Tra chi ha ricevuto solo la vaccinazione ma non è stato contagiato, la percentuale di anticorpi neutralizzanti era più bassa, in particolare contro la variante Omicron. Per quanto riguarda chi non si è vaccinato ma ha un’immunità data solo dal contagio, i livelli di anticorpi rilevati erano circa 15 volte inferiori e meno della metà di loro mostrava anticorpi neutralizzanti.

 

Professor Albanese, l’OMS ha decretato la fine dell’emergenza sanitaria. Perché è importante continuare a monitorare l’immunità da Covid tra la popolazione?

Ci sono diverse buone ragioni per continuare a monitorare la risposta immunitaria nella popolazione generale al SARS-CoV-2. Per esempio, per sapere la durata nel tempo e la qualità delle diverse tipologie di risposta immunitaria, sapendo che la risposta ibrida è quella che conferisce maggiore protezione.

Una seconda ragione è lo studio degli effetti nel medio e lungo periodo dell’infezione da SARS-CoV-2. Mentre gli studi clinici su questo tema sono tanti, gli studi epidemiologici, ovvero che analizzano la popolazione generale, sono ancora pochi. Non sappiamo quante persone hanno per esempio disturbi dell’umore (come depressione e ansia) o problemi di memoria e se, come, e in che misura tali disturbi sono dovuti all’infezione da SARS-CoV-2 e se c’è una relazione con la gravità dei sintomi della malattia, cioè del COVID-19. Le risposte a queste domande hanno una grande rilevanza per la salute pubblica, perché le persone infette sono decisamente di più di coloro che hanno avuto il COVID-19.

 

Questi dati possono essere utili in vista di nuove ondate o future pandemie?

Certamente si, per esempio sulle campagne vaccinali e come queste saranno interpolate con altre misure di contenimento di future pandemie. Il nostro studio è uno dei primissimi a confermare che la qualità della risposta immunitaria, vale a dire la capacità neutralizzante degli anticorpi, è minore per le varianti più recenti del virus, ma soprattutto è ottimale quando è ‘ibrida’, cioè quando questa immunità è stata indotta nello stesso individuo sia dall’infezione che dalla vaccinazione.

 

Questa superiorità dell’immunità ibrida è un risultato che vi aspettavate?

Per certi versi era un risultato atteso perché lo avevamo in parte osservato già l’anno scorso, sempre nell’ambito dello studio Corona Immunitas. I risultati della ricerca della Dr.ssa Amati, pubblicati su Eurosurveillance nel 2022 sono oggi confermati grazie a un periodo di osservazione più lungo, un campione più ampio e più rappresentativo, e una misurazione più approfondita della capacità neutralizzante degli anticorpi.

 

In base a questi dati possiamo affermare che il Covid è adesso una malattia endemica e non più epidemica?

Si, il COVID-19 è oggi una malattia endemica. Sulla quale però le nostre conoscenze sono ancora molto limitate.

Una malattia si definisce endemica quando la presenza è costante in una specifica area geografica o gruppo di popolazione. Le malattie endemiche sono considerate "normali” perché possono presentare un andamento relativamente stabile nel tempo, o comunque prevedibile.

È importante notare che una malattia endemica può comunque avere un impatto significativo sulla salute della popolazione colpita, anche se è considerata “normale”. Misure adeguate di sorveglianza, prevenzione e controllo sono essenziali per gestire le malattie endemiche e ridurne il peso sulla salute pubblica.

 

Le campagne vaccinali si concentrano adesso sui soggetti fragili, come anziani e immunodepressi. È una strategia compatibile con i risultati di questo studio?

Si. I nostri dati supportano l’attuale strategia vaccinale che si concentra su sotto-gruppi della popolazione che sono a maggior rischio. Come detto, la vaccinazione conferisce una solida immunità funzionale. Cioè una più bassa probabilità di un decorso severo della malattia in caso di re-infezione.